I greci

L’Eubea e la Sardegna tra storia e leggenda

I Greci dell’Eubea funsero da comprimari nel vasto fenomeno di contatti culturali e traffici commerciali che coinvolse, dalla fine del IX secolo alla prima metà del VII sec. a.C., le regioni costiere del Mediterraneo occidentale e orientale, appoggiandosi essi stessi al “portante” vettore fenicio-cipriota nella percorrenza di rotte transmarine est-ovest.

I rapporti con l’Oriente
La forte mobilità dell’Eubea e della più composita federazione di regioni greche ruotanti attorno alle politiche di espansione delle importanti città di Calcide ed Eretria, si spiega con la lunga e radicata tradizione metallurgica di questa zona (Calcide=città di bronzo), documentata indirettamente, per periodi più antichi, dal ritrovamento archeologico di diciassette lingotti ox-hide al largo del mare di Kyme e da quello di matrici di tripode cipriota (X secolo) da Lefkandi, sempre in Eubea.
L’approvvigionamento di metalli, in particolar modo di argento e ferro, costituisce “una componente essenziale negli scambi commerciali con l’oriente” (BOARDMAN), causando nel tempo la nascita delle prime stazioni commerciali euboiche nella città orientale di Al Mina (825 a.C.) e di Tell Sukas.

I rapporti con l’OccidenteIntrodotti a loro volta dai mercanti fenici e ciprioti alla conoscenza delle vaste risorse minerarie del Far West (RIDGWAY) i Greci danno luogo ad un processo di colonizzazione occidentale culminante nella fondazione dell’emporio di Pithekoussai (775 a.C.), nell’isola d’Ischia, in Campania, dove gli scavi archeologici hanno documentato con evidenza di dati la significativa compresenza di un piccolo nucleo “orientale”.
Pitecusa diviene la base per l’avvio di contatti con la terraferma, indiziati soprattutto dal rinvenimento di particolari vasi per bere, coppe, skyphoi e kotylai, presentanti una caratteristica decorazione a semicerchi pendenti, a chevron o ad uccelli entro schemi a scansione metopale e lineare geometrica.

La rotta dell’argento
Sardegna, Nord Africa e Spagna entrano da questo momento a far parte della famosa “rotta dell’argento”, il cui itinerario è meglio delineabile dall’area di dispersione di una serie di antichi toponimi con suffisso euboizzante in oussa (Ichnoussa, Pityoussa, Meloussa, Crommyoussa = Sardegna, Ibiza, Maiorca, Minorca, ?) caratterizzanti le regioni presumibilmente interessate da queste spedizioni commerciali.
La nostra isola, il cui nome può essere interpretato col doppio significato di orma di piede e di traccia, stepping-stone (tappa di passaggio), assume una parte di rilievo lungo tale percorso, come dimostrano le ormai numerose attestazioni archeologiche di Sulci, importante scalo intermedio nella rotta per la Spagna.

Le evidenze archeologiche a Sulci
Dall’area del tofet proviene difatti la nota olla stamnoide, un vaso funerario con decorazione geometrica e ad uccelli di produzione pitecusana (725-700 a.C.). Indagini più recenti hanno portato alla luce una consistente messe di materiali, con decorazione protocorinzia ed euboica, pertinenti in parte ad un più antico strato di fondazione del sito (750 a.C.), a riprova del forte vincolo commerciale, di antica data, sussistente tra elemento semitico e greco, tanto da far ipotizzare la presenza nella città sarda di un minuscolo enclave greco speculare a quello fenicio ischitano (BERNARDINI, TRONCHETTI).

Le evidenze archeologiche in Sardegna
Per il periodo compreso tra l’VIII e la prima metà del VII secolo è stata individuata una componente allogena, seppure in modo meno marcato, in altri insediamenti fenici (Caralis, Bithia, Portoscuso, Tharros) ed “indigeni” (S. Imbenia, Settimo S. Pietro, Santadi, Furtei?) sardi.
Dal complesso dei dati emerge infine la testimonianza offerta dal villaggio nuragico di S. Imbenia, nella baia di Porto Conte ad Alghero, considerata prova di un movimento di proiezione di Sulci verso l’entroterra algherese allo scopo di sfruttare i minerali di ferro e argento presenti nell’area (D’ORIANO).
Oltre i numerosi frammenti ceramici di produzione euboica (Skyphoi a chevron), protocorinzia (Skyphoi e kotylai) con decorazione lineare, geometrica e ad uccelli, la pur documentata ceramica fenicia di imitazione euboica, proviene dal piano di frequentazione di una capanna nuragica lo skyphos a semicerchi pendenti , sinora la più occidentale tra le attestazioni greche e la più antica per l’isola (I metà dell’VIII secolo a.C.).
Le fonti archeologiche ed il mito
Le fonti archeologiche tracciano quindi in modo inequivocabile un quadro storico di forte convergenza, ideologica – perché condivide l’uso di determinate forme vascolari pregiate connesse alla sfera del simposio e delle usanze funerarie – e commerciale tra mondo euboico e fenicio, vettore quest’ultimo di trasmissione anche verso l’ambito propriamente locale, quello nuragico.
Le fonti mitografiche sembrano alludere in modo altrettanto incontestabile, se non all’arrivo di nuclei greci nell’isola, all’instaurazione di una lunga e fiorente tradizione di scambi e rapporti in età storica.
È stato da tempo sostenuto e assunto che alcuni brani diodorei (Diod. IV. 82, IV. 29-30) di ispirazione timaica a loro volta rielaborati su più antichi testi storici dell’VIII secolo (Cronaca Cumana ed Ellanico) si leghino con l’esperienza della colonizzazione euboica in occidente e con la dinamica dei movimenti da loro compiuti in Sardegna.
Lo dimostrerebbe la combinazione incrociata di riferimenti a personaggi (Aristeo, Iolao) e popoli (Thespiadi), di derivazione o forte connessione con la Beozia, regione da cui sarebbero partite alcune frange di aristocratici (i Thespiadi) che parteciparono con Iolao all’espansione euboica.
Sempre Diodoro si sofferma inoltre, sia per Cuma (Diod. IV. 21,5), che conosce l’arrivo dei Thespiadi, che per la Sardegna (Diod. IV. 82), sul motivo della feracità (eukarpia) di terre, quelle cumana e sarda, dove si ritrova il culto di Iolao o Aristeo, per quest’ultimo con chiari riflessi anche nel nome della fratrìa napoletana degli Aristaioi.
Il mancato possesso della Sardegna (fondazione abortita) troverebbe riscontro nella notizia di un ritorno a Cuma dei Thespiadi.
Tali ipotesi sarebbero ulteriormente avvalorate dalla probabile identificazione di un culto di Aristeo, per questo periodo, nella figurina bronzea nuragica e, per Iolao, dalla “gestione di epopee nobili e nobilitanti”, che si tradurrebbe nella realizzazione della statuaria di Monti Prama (Cabras-Or) e nella bronzistica figurata di matrice aristocratica, “da parte di un’ “aristocrazia indigena” (BERNARDINI).
A prescindere dall’assunto delle tesi appena esposte, è inopinabile che lo stato delle ricerche per la Sardegna dell’VIII secolo costituisca di per sé una valida spiegazione alla particolare ambientazione delle leggende fiorite sulla colonizzazione greca dell’isola, per quanto esse siano state trasfigurate da apporti propri di contesti successivi a quelli adombrati originariamente.
Né ciò contrasterebbe con la particolare analisi compiuta dal Bondì, che individuerebbe viceversa nei racconti dei nuclei mitografici fenici opportunamente trasformati e riadattati dagli ateniesi, in pieno clima coloniale, con l’inserimento di figure elleniche, come Iolao ed Aristeo, legate per diverse ragioni all’Africa e quindi all’ambiente punico: la commistione operata dagli storiografi coincide in pieno, perché voluta o casuale, con la sfera mista di commercio e di colonizzazione che caratterizza il Mediterraneo occidentale dell’VIII sec., in cui greci e fenici commerciavano, navigavano e abitavano insieme (TRONCHETTI).


Olbia Greca

Il racconto storico mitico
Nell’ambito delle notizie che gli autori antichi tramandano sulla più antica storia della Sardegna, viene attribuita a Greci guidati da Iolao, compagno di Eracle, la fondazione di due “città”; Ogryle e Olbia (v. soprattutto Pausania, Periéghesis tes Ellados , X, 4). Le conoscenze precedenti
Sull’individuazione di Ogryle non vi sono certezze, mentre Olbia è ovviamente la città archeologicamente ben conosciuta come fondazione cartaginese di metà IV sec. a.C. A quest’epoca risalgono infatti il tessuto urbano più antico, luoghi di culto e le mura di cinta, elementi indispensabili per definire “città” un insediamento antico.
E fino a pochissimi anni fa nessun reperto d’età storica precedente il IV sec. a.C. proveniva dall’area urbana antica, mentre dal territorio si conosceva solo una statuetta di legno (xòanon) dal pozzo sacro nuragico di Sa Testa, datata entro la metà del VI sec. a.C. e di probabile importazione, a testimoniare, allora, non più di un contatto commerciale.
Si conoscono anche altri materiali più antichi del IV sec. (due brocchette fenicie, due scarabei e un vasetto portaprofumi) ma presenti in collezioni private che non consentono di assicurarne la provenienza olbiese.

Gli ultimi rinvenimenti nella città
Negli ultimi tre anni, invece, le ricerche della Soprintendenza Archeologica hanno restituito dati, ancora pochi ma in compenso sicuri, per iniziare una nuova riflessione sul problema.
Dall’area urbana antica provengono infatti, da strati archeologici più recenti (e quindi in seguito a sconvolgimenti di quelli originari), sette frammenti di ceramiche precedenti il IV sec. a.C. (e altri, di identificazione più complessa, sono in studio). Sono produzioni che si ritrovano costantemente nei siti toccati dal commercio delle città greche d’Asia Minore (greco-orientali). Questi materiali si scaglionano così nel tempo: quattro frammenti sono ascrivibili agli ultimi decenni del VII, due al VI e uno al V sec. a.C.
Quanto all’aspetto topografico, quattro di questi pezzi provengono dal principale luogo di culto della città, che in età punica e romana è dedicato a Ercole, corrispondente al dio fenicio-punico Melqart, evidentemente quindi la massima divinità olbiese.
Gli altri tre pezzi si situano tra questo santuario e l’insenatura portuale settentrionale, detta tuttora Porto Romano.

Gli ultimi rinvenimenti nel territorio
Dal territorio provengono invece un frammento di ceramica forse fenicia almeno di VII secolo (ma le minuscole dimensioni e il pessimo stato di conservazione non consentono certezze), una fibula italica (dal pozzo sacro nuragico Milis di Golfo Aranci) e un frammento d’anfora di Marsiglia (dal nuraghe Logu di Monti) entrambe di V secolo, mentre nel mare della Costa Smeralda è stato rinvenuto un collo d’anfora greca di VI secolo.

Problemi e ipotesi
Certo i dati ora in nostro possesso sono “molti” rispetto al passato ma ancora insufficienti per dare risposte storiche al quesito sull’esistenza di una Olbia greca, finché non si individuerà un lembo di stratigrafia dell’epoca.
Molto incerti sono i principali aspetti del problema: tipo della frequentazione (solo commerciale? anche abitativa?), ambito etnico-culturale (greco-orientale?, fenicia?), cronologia iniziale e finale, consistenza e aspetto topografico.
Per ora si può solo lievemente propendere a favore di una connotazione greco-orientale di questa frequentazione nelle sue fasi iniziali, ed anche il nome Olbia ricondurrebbe a quel mondo, poiché lo ritroviamo assegnato a varie fondazioni coloniali appunto dei Greci d’Asia Minore dal Mar Nero alla Provenza.
Sul piano topografico assistiamo ad un coinvolgimento forse dell’insenatura portuale settentrionale e della futura area del santuario che, non a caso, è dedicato proprio ad Ercole-Melqart, equivalente, nel mondo mitico-religioso greco e punico, a quello Iolao al quale la tradizione assegna la fondazione di Olbia.
In altri termini, non sarebbe assurdo pensare ad un luogo di culto di Iolao-Eracle-Melqart a carattere magari commerciale (santuario emporico), ché tale è in altri casi ben noti, come punto focale di questa frequentazione.
Come si vede le incertezze sono molteplici, specialmente se si tiene conto del ruolo che un eventuale insediamento arcaico olbiese potrebbe avere giocato sul piano commerciale nella circolazione dei prodotti greci, fenici e etruschi tra Tirreno centrale e Sardegna e sul piano storico della frequenza:

  • 600 a.C. – fondazione di Massalia (Marsiglia) da parte dei greco-orientali di Focea, quindi posteriormente ai più antichi pezzi olbiesi).
  • 565 – fondazione di Alalia (Aleria in Corsica) sempre da parte dei Focesi.
  • 540 – battaglia del “Mare Sardo” tra greci di Alalia da un lato e Etruschi e Punici dall’altro.
  • 545-510 – conquista cartaginese della Sardegna.
  • 509 – primo trattato tra Roma e Cartagine.

Ma si deve anche ricordare che le fonti letterarie non menzionano più la Olbia arcaica al di là della Mitica fondazione.
Ciò fa sospettare che l’insediamento possa anche non avere acquisito carattere e importanza urbana né archeologicamente, ché sarebbe già apparso, né storicamente, e che la memoria della iniziale presenza (greca?) sia divenuta occasione per ascrivere alla civiltà ellenica una “città”, secondo una prassi non ignota nella letteratura storico-mitica greca.

Riassumendo
In sintesi, quindi, gli ultimi rinvenimenti indicano che le fonti letterarie ricordano, sotto la veste del mito, una frequentazione del sito olbiese almeno a partire dai decenni finali del VII sec. a.C. Essa però è ancora da definire nei suoi aspetti cronologici, storici, culturali, topografici, dimensionali ecc. Per ora si può ipotizzare un nucleo a carattere commerciale forse greco-orientale, in attesa che nuovi rinvenimenti confermino o ribaltino questa prospettiva.