Gli antichi caffè di Sassari

La mostra

(Sassari, 15 dicembre 2011 – 5 gennaio 2012)

A cavallo tra la seconda metà del mese di dicembre 2011 e il principio del 2012 è stata allestita e visitata la mostra “Gli antichi caffè di Sassari”, con un notevole successo di pubblico, presso le sale dell’Archivio Storico Comunale, e con il costante interesse degli organi di stampa (carta stampata ed emittenti televisive) locali e regionali.
Tra gli esiti positivi della manifestazione vi è stata senz’altro la manifestazione immediata e spontanea di disponibilità da parte di alcuni privati cittadini, che hanno arricchito l’esposizione di oggetti appartenenti alle proprie collezioni: tra questi, manufatti appartenuti al corredo del Caffè Sassarese e del Caffè Sechi (lattiere, vassoi), e persino una lastra di vetro cromato con decorazione floreale policroma e in foglia d’oro, appartenuta al rivestimento di una colonna esagonale e risalente perlomeno al 1887, anno di inaugurazione del Caffè Italia, annesso all’omonimo albergo, che fu aperto al pubblico con dei locali rinnovati.

Il tema

Anche nella piccola e apparentemente periferica realtà sassarese in pieno Ottocento è possibile individuare, con i dovuti distinguo, le quattro tipologie diverse di Caffè declinate in ambito europeo da Etienne François: un primo tipo di Caffè, prolungamento diretto dei locali del XVIII secolo, è il caffè letterario e artistico diffuso in tutte le grandi città del Continente. Ambiente raffinato, arredato con specchi e mobili di pregio, luogo di incontro di celebrità locali dell’arte e della cultura era centro di creatività artistico-letteraria e di discussioni intellettuali.
Un secondo tipo di caffè è quello di lusso, dove i ceti dirigenti assaporano il loro successo e fanno spettacolo di sé.
Un terzo, che si diffonde a Parigi verso la metà del XIX secolo è il “caffè-concerto”: un’istituzione che dispensa una forma di distrazione regolare e aperta a tutti, mescola spettacolo e musica.
L’ultimo – il gran lunga più diffuso – è il caffè popolare. La sua reputazione sarebbe stata pessima: principale responsabile della diffusione dell’alcolismo e di ogni altro tipo di disordine sociale e morale.
Con l’espansione di Sassari oltre la cinta nel segno del “progresso”, che porta purtroppo anche alla distruzione del Castello e delle mura, sorgono grandiosamente – e un po’ polemicamente – il Palazzo della Provincia e la Piazza d’Italia, nelle Appendici. Nasce una città nuova, che si riconosce, tra l’altro, in un’idea ciarliera di modernità, fatta delle chiacchiere e mondanità dei caffè, dove convivialità e socialità facevano tutt’uno con la voglia di affrancarsi dal vecchio. Nei locali del tempo, tra una prelibatezza dolciaria e una gazzosa, si poteva discorrere, al suono della musica e tra un’esibizione e l’altra, di ciò che i giornali riportavano nella cronaca cittadina, dalla Stella di Sardegna alla Nuova Sardegna. La grande stagione storica delle trasformazioni urbanistiche e sociali della città coincide, come si è visto, con una delle grandi stagioni dei caffè sassaresi, che diventano sede di incontri anche politici, e al tempo stesso fulcro di mondanità. Insomma, un luogo di scambio dinamico e attivo, di cui si trova traccia nei giornali – che in tali ritrovi storicamente nascono e si diffondono, come si sa – e nelle bellissime pubblicità. Erano i caffè del tempo, i notissimi Bossalino, Roma, Mortara (poi Svizzero, Sassarese, Martini…), del Giardino, del Corso… delle piccole perle di memoria cittadina, delle splendide vetrine la cui distruzione ha arrecato una perdita e un impoverimento della nostra gaia e varia identità.
Il percorso di questa mostra ha gravitato perciò attorno alla rivisitazione di temi legati all’espansione, modernità e progresso, e su come questi embrionali riverberi di un “continente” presagito e spesso nominato nelle intitolazioni di alberghi, strade e giornali, potevano essere illuminati dalle luci e dai suoni dei cafè-chantant di una città di provincia.
Un allestimento raffigurato anche nei piccoli e ‘gustosi’ stralci di giornali con notizie dal 1876 al 1908 (Cronaca dal cielo, Le canzoni di Piedigrotta al Caffè Roma, La bandiera della Corazzata Sardegna, Al Palazzo Provinciale, L’uomo cannone, solo per fare qualche esempio). Un nucleo progettuale e concettuale che oscilla volutamente tra la godibilità casuale dei testi (che siano pettegolezzi, mondanità, cronaca e storia), e l’interazione comunque significativa con un passato che riaffiora là dove è nato. Una voluta ed emozionale mescolanza tra l’eco dei chiacchierii dei caffè antichi e il prenatalizio tintinnio di chicchere, cucchiaini e il tanto fragore acustico che risonerà per le sale dei moderni locali. A stemperare, con una nota di vaghezza, il raccolto e meditato silenzio di momenti più miti.

 

La miracolosa bevanda del caffè (dal catalogo della mostra)

«Qualunque sia l’origine del caffè (la sua pianta, la Coffea arabica L., è ritenuta indigena dell’Abissinia o delle province di Galla, Kaffa ed Enarea) è certo che la sua degustazione è di per sé un rito cui pochi al mondo siano mai riusciti a sottrarsi.
Resterebbe di fatto araba o arabeggiante la gestualità legata alla consumazione della miracolosa bevanda, così com’è di tradizione orientale il breve ma colorito corpus di leggende e aneddotica che la riguarda: una, antica e islamica, attribuisce infatti ad Allah il merito di aver inviato a Maometto la sacra bevanda, detta Kawa, per riuscire a ridestarlo da uno stato di torpore fisico al punto tale da riuscire a soddisfare quaranta donne nell’arco di una notte.
Al caffè sono associate sempre leggende e credenze che pongono l’accento sulle sue inconfondibili virtù tonificanti e accendenti l’animo di umani e animali, dalle capre yemenite del pastore Kaldi, che dopo aver ingerito le bacche della pianta trascorsero notti eccitate (come narra la leggenda da Gemal-Eddin-Dhabhani), alla grande estasi del profeta Maometto, risollevato, come abbiamo detto, dalle profonde prostrazioni fisiche poco prima di intraprendere virili e donnesche missioni grazie all’intervento divino di Allah.
I suoi grani abbrustoliti, citati nel primo libro dei Re e meno probabilmente nell’Iliade, darebbero il nome al magico infuso nero, il cui più antico consumo è di fatto storicamente demandato a una cultura madre della matematica, della logica e simbolo di «controllo razionale, di lucidità, di efficienza cerebrale, di calcolo, all’opposto del vino che rallenta il corpo e ottunde la mente». Il rito del caffè è stato quindi dalle origini inestricabilmente legato all’idea di laboriosità ed efficienza, di un relax consapevole e poco ozioso.
Vuole sempre la tradizione che la prima bottega di caffè sia sorta a La Mecca all’inizio del IX secolo dell’Egira: «La gente vi si riuniva non solamente per bere il caffè, ma anche per discorrere, cantare, ballare e giuocare agli scacchi, cose queste che la religione maomettana non approva. Così i devoti tentarono di far chiudere questi luoghi pubblici, nei quali, dicevano, si prendeva il caffè in compagnia, nello stesso modo che si beveva il vino, ma fu loro chiusa la bocca facendo osservare che secondo la tradizione maomettana anche Maometto aveva bevuto il latte in compagnia, ed il profeta non poteva aver dato un cattivo esempio».
Furono gli Arabi ad esportarlo in Europa, in particolare a Parigi, dove visse il Solimano Agà Ambasciatore del Gran Signore Maometto IV presso Luigi XIV a partire dal 1669.
Il caffè è tonico e salutare (fino al 1650 veniva venduto nelle farmacie), e berlo fa stare al passo con la modernità ed il progresso; sebbene si sia atteso il XVI secolo e il fiorire dell’attività mercantile con l’Oriente arabo, prima che la sua moda potesse attecchire anche in Europa con la nascita in Europa, e anche in Italia delle prime botteghe nel XVII secolo.
Un costume che si raccolse e si elaborò anche intorno ai gesti della sua preparazione, che si tramandano da secoli codificandosi in norme diverse da nazione a nazione.

Il caffè è tonico e salutare (fino al 1650 veniva venduto nelle farmacie), e berlo fa stare al passo con la modernità ed il progresso; sebbene si sia atteso il XVI secolo e il fiorire dell’attività mercantile con l’Oriente arabo, prima che la sua moda potesse attecchire anche in Europa con la nascita in Europa, e anche in Italia delle prime botteghe nel XVII secolo.
Un costume che si raccolse e si elaborò anche intorno ai gesti della sua preparazione, che si tramandano da secoli codificandosi in norme diverse da nazione a nazione…»